Epatite C: il problema della resistenza al trattamento

I trattamenti antivirali ad azione diretta rappresentano un progresso fondamentale nella gestione dell’epatite C, ottenendo tassi di cura virologica che superano il 90%. Tuttavia, quando interviene il fallimento del trattamento, esso è principalmente dovuto alle recidive con comparsa di varianti virali associate a resistenze. I dati degli studi in vitro e clinici hanno consentito la caratterizzazione delle sostituzioni aminoacidiche nei target farmacologici virali che conferiscono la ridotta suscettibilità agli antivirali diretti.

Queste sostituzioni (RAS) possono esistere anche prima del trattamento, e sono associate al suo fallimento, ma non necessariamente lo determinano. La più importante RAS con i regimi attuali interviene nella proteina NS5A, che potrebbe persistere per anni dopo il trattamento. La strategia ottimale consiste nel prevenire le resistenze tramite la somministrazione del trattamento migliore, scelto in modo appropriato secondo le caratteristiche del paziente e del virus, come ad esempio in base alla presenza di cirrosi, alla precedente esposizione all’interferone ed altro ancora.

Sono state sviluppate linee guida internazionali per la selezione delle terapie, che potrebbero variare in termini di durata e di co-somministrazione di ribavirina. Il test delle resistenze di routine nei pazienti mai trattati prima non è generalmente raccomandato. Gli antivirali diretti della prossima generazione ridurranno ulteriormente la comparsa delle RAS, e data la loro attività nei confronti delle RAS per i farmaci attualmente in uso, i nuovi farmaci verranno anche impiegati come terapie d’emergenza per i pazienti in cui il trattamento è fallito. (Curr Opin Infect Dis online 2016, pubblicato il 26/9)

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